GIUDIZIO SUL RENDICONTO GENERALE DELLO STATO

 

MEMORIA

DEL PROCURATORE GENERALE

(UDIENZA 24 GIUGNO 2010 – PRESIDENTE TULLIO LAZZARO)

 

V. IL PATRIMONIO PUBBLICO

1. - La cartolarizzazione immobiliare

(Estensore: V.P.G. Maria Letizia De Lieto Vollaro)

 

Come noto, con il decreto legge n. 351 del 25 settembre 2001, convertito in legge n. 410 del 23 novembre 2001, recante “Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare”, e stata avviata la cartolarizzazione degli immobili pubblici (da reddito: libero o affittato ad uso abitativo e commerciale).

Le operazioni di cartolarizzazione sono state due, SCIP 1 e SCIP 2, rispettivamente in data 27 e 30 novembre 2001 e 21 novembre 2002.

Il processo di vendita degli immobili è stato in più occasioni modificato da interventi legislativi; tra i principali si evidenzia il D.L. n. 41/2004, convertito con modificazioni dalla legge n. 104/2004 in materia di determinazione del prezzo dei cespiti.

Nel 2008 gli obiettivi di incasso sempre più difficili da realizzare a regime, l’eccezionale crisi economica internazionale e le mutate condizioni del mercato immobiliare e dei mercati finanziari, conclamatisi nel corso dell’anno, hanno indotto il Governo ad introdurre nella legge 27 febbraio 2009, n. 14, art. 43 bis, una misura urgente, recante “Interventi nelle operazioni di cartolarizzazione di immobili pubblici”.

Così dal 1° marzo 2009 gli Enti originariamente proprietari degli immobili sono subentrati alla SCIP in tutti i rapporti anche processuali ed attinenti alle procedure di vendita, relativi agli immobili trasferiti, con liberazione della società di cartolarizzazione, dietro corrispettivo da versare entro il 15.4.2009.

 

(Dall’ultimo rapporto agli investitori della SCIP risultava che al 31 dicembre 2008 gli immobili invenduti di SCIP 2 erano 13.574, pari al 21,6 per cento del portafoglio originario per un valore di circa 2,4 miliardi pari al 30,2 per cento del portafoglio originario).

 

La norma ha previsto il ritrasferimento ai soggetti originariamente proprietari degli immobili, ancora non venduti nell’ambito delle due operazioni SCIP 1 e SCIP 2, verso il pagamento di un corrispettivo versato esclusivamente fino a concorrenza delle passività residue della SCIP al netto degli incassi disponibili.

 

La messa in liquidazione della SCIP ha costituto, quindi, la soluzione a talune delle problematiche sottese, in particolare evitando l’escussione della garanzia dello Stato concessa sui finanziamenti in scadenza il 27 aprile 2009.

 

Per il versamento del corrispettivo gli enti hanno utilizzato il saldo di cassa giacente sul conto riscossione dell'operazione SCIP 1, vale a dire il prezzo differito ad essi dovuto e non ancora corrisposto, stante le vendite ancora in corso delle residue unita immobiliari, nonostante l’avvenuto rimborso integrale dei titoli emessi per l'operazione SCIP 1.

Così, non si sono verificati, a seguito del trasferimento degli immobili, effetti economici negativi per i soggetti beneficiari del trasferimento. Infatti, le due operazioni di cartolarizzazione avevano previsto che i costi di gestione degli immobili di proprietà della SCIP fossero comunque a carico dei soggetti originariamente proprietari, che ai sensi del comma 2 dell’art.3 del decreto legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, rimanevano responsabili a tutti gli effetti ed a proprie spese degli interventi necessari di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonchè dell’adeguamento dei beni alla normativa vigente.

 

La norma ha così consentito di azzerare i costi legati all’operazione nel suo complesso, che sarebbero andati ad erodere il DPP (il prezzo differito spettante ai soggetti conferenti a chiusura delle operazioni) atteso dagli enti.

 

In particolare:

 - i costi relativi al funzionamento della SCIP (costi di funzionamento, compensi agli amministratori, agenzie di Rating, etc.);

- i costi finanziari a carico della società.

 

Relativamente alle procedure di vendita, la normativa introdotta nel 2009 ha previsto che rimangano quelle adottate nella seconda operazione di cartolarizzazione, fatta salva la possibilità per gli enti di modificarle, al fine di rendere più efficace il processo di vendita, soprattutto in relazione alla tempistica della vendita non più vincolata al rispetto di un business plan legato alla massimizzazione degli incassi e all’ andamento del mercato.

Peraltro, a seguito dell’istruttoria compiuta circa l’inventariazione degli immobili retrocessi è emerso:

a) un problematico ritardo da parte dei Ministeri vigilanti circa l’emanazione delle necessarie linee guida;

b) l’esistenza negli elenchi dell’Agenzia del Territorio di unità immobiliari alle quali l’Agenzia medesima non è stata in grado di attribuire una valutazione, essendo assenti i necessari elementi identificativi e/o descrittivi;

c) numerose c.d. squadrature tra gli elenchi dell’Agenzia del Territorio ed i dati estratti dai sistemi informativi degli Enti (immobili residenziali) e del Consorzio G1 (immobili commerciali);

d) un numero elevatissimo di singole unita immobiliari secondarie (per l’INAIL:1410 unita residenziali e 558 unita commerciali), di valore unitario obiettivamente marginale e di difficile identificazione, per i quali l’Agenzia del Territorio ha ritenuto di non indicare una valutazione;

e) l’assenza di “database” centralizzato;

f) l’assenza di un criterio di valutazione, ancora non individuato dagli Enti, per le unità per le quali l’Agenzia del Territorio non ha precisato elementi per una valutazione (es. OMI , catastale..).

Si rileva, poi, allo stato attuale, l’assenza di sinergie costruttive fra i diversi Enti interessati all’operazione di rientro, sia per gli aspetti correlati alla gestione sia per l’individuazione di forme di investimento comune, attraverso piani di valorizzazione o conferimenti, la carenza di censimento e inventariazione completa e riscontrabile nonchè la difficoltà nella rappresentazione tempestiva in bilancio della consistenza degli immobili retrocessi.

Talune linee di indirizzo sulla operazione di rientro degli immobili, ancorchè non esaustive, sono state riconfermate nelle priorità strategiche per il triennio 2010-2012 dagli Enti interessati, in particolare:

· la predisposizione di una accurata ricognizione degli immobili rientrati, classificandoli per tipologia, valore, dislocazione territoriale e situazione giuridico-contabile, al fine di disporre di ogni utile elemento di valutazione per la esatta allocazione in bilancio e per i successivi piani di investimento e di dismissione;

· la garanzia di un’azione volta ad un’efficace gestione basata su criteri di massima trasparenza, al fine di pervenire all’economicità e ottimizzazione dei tempi relativi alle alienazioni, evitando il ripetersi delle criticità registrate nel passato;

· la salvaguardia di una massimizzazione della redditività e la convenienza per gli Enti nelle future forme di dismissione del patrimonio rientrato;

· la previsione, per taluni immobili, di piani di valorizzazione e di possibile utilizzo come sedi strumentali o come “case welfare” nelle aree periferiche dove sussistono;

· l’attivazione di sinergie con gli altri Enti Previdenziali per piani di investimento comuni, qualora se ne riscontrasse una convenienza nelle scelte;

· la valutazione, per una parte di immobili commerciali di difficile gestione, del possibile conferimento a fondi immobiliari; ciò in quanto e stato legislativamente consentito che gli enti possano sezionare gli immobili residui, per aree geografiche o per tipo di unita, e usarli per la costituzione di fondi immobiliari.

Gli Enti interessati, pertanto, hanno ritenuto che gli organi amministrativi competenti potranno essere in grado di valutare compiutamente l’operazione e fornire un giudizio complessivo, solo in presenza di tutti gli elementi conoscitivi completi riguardanti lo spacchettamento del blocco di immobili, la tipologia, l’entità del contenzioso esistente, i valori di uscita al momento della cartolarizzazione e i valori di rientro, i valori di allocazione in bilancio e inventariazione, i successivi costi implementativi di gestione, manutentivi, fiscali e la redditività conseguibile.

Sulle problematiche relative alla retrocessione dei cespiti immobiliari Una delle questioni emerse con il recente decreto mille proroghe è l’invito, di cui all’art. 43 bis, a chiudere con delle transazioni le cause in corso in quanto:

al fine di favorire la tutela del diritto all’abitazione ed all’esercizio della attività di impresa nell’attuale fase di eccezionale crisi economica, i soggetti originariamente proprietari promuovono la definizione del contenzioso in materia immobiliare privilegiando soluzioni transattive o di bonario componimento che comportino l’immediato conseguimento di un apprezzabile risultato economico in relazione al rischio implicito nel giudizio, allo stato ed al presumibile costo di esso, nonchè alla effettiva riscossione del credito”.

Ha creato, altresì, incertezza operativa la disposizione di legge, ove precisa che i soggetti originariamente proprietari possono modificare le procedure vigenti al fine di rendere più efficiente il processo di vendita (comma 12, art. 43 bis).

Infatti, sebbene venga concessa una certa autonomia decisionale al fine di accelerare le vendite sia in presenza sia in assenza di contenzioso, crea un certo disagio gestionale nella Pubblica Amministrazione l’agire tempestivamente in assenza di regole omogenee per territorio e per Ente, che forniscano direttive conformi in relazione ai margini di transazione ai quali attenersi o diversi criteri procedurali per accelerare le vendite.

Costituisce ulteriore problematica, scaturita a seguito della avvenuta retrocessione del patrimonio immobiliare agli originari proprietari, quella connessa alla vetustà di molti immobili e alla relativa applicazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art.10 della legge 6/7/2002 n.137, entrato in vigore con il Decreto Legislativo 22/1/2004 n.42: talune vendite – relative agli immobili di pregio - sono state temporaneamente sospese, proprio perchè molti notai interpellati per le stipule, ritenendo applicabile il suddetto codice, si sono rifiutati di dare corso al rogito in assenza di una “sdemanializzazione” delle vendite.

E, in proposito, il Consiglio Nazionale del Notariato solo recentemente si è espresso, con uno studio articolato, affermando in conclusione che: “dopo la norma contenuta nell’art. 43 bis del decreto legge n. 207 del 2008 i beni oggetto di dismissione, se beni culturali, non debbono essere assoggettati nè all’autorizzazione nè alla denuncia ai fini della prelazione. Appare evidente che questi beni, se con vetustà superiore ai cinquant’anni, non debbono essere assoggettati a verifica”.

Conclusivamente, la gestione del patrimonio pubblico retrocesso delinea nuove problematiche e la necessità di individuare un percorso sinergico tra tutti gli Enti interessati al fine di trovare adeguate soluzioni, atte a favorire la corretta alienazione e la valorizzazione degli immobili.

Allo stato, è difficile ipotizzare che la vendita diretta dei beni possa procedere speditamente, così come auspicato dal legislatore, sia per la carenza delle relative linee guida sia a causa della composizione del portafoglio residuale retrocesso, costituito per oltre l’80 per cento da unità occupate.